Algeria – Il grido del deserto

Sahara algerino

Il grido del deserto

Il torrente impetuoso che scende dalle montagne va a perdersi nei precipizi, ma la più piccola goccia di rugiada è assorbita dal sole che l’eleva fino alle stelle. (Sa’di) 

Algeria - tuareg seppia 550

Da Tamanrasset a Djanet, due città oasi nell’Algeria meridionale, dall’Hoggar al Tassili; in una dimensione vicina a quella dei sogni attraverso un Sahara che continuamente si modifica; magia di silenzi e di colori, è l’estetizzazione della natura con montagne di straordinaria bellezza, distese sassose e piatte con ciuffi verdi e rosa di oleandri in fiore, piscine naturali in mezzo al niente, l’Erg e le sue dune, l’implacabile mare di sabbia e di vento, cipressi plurimillenari che dignitosi si ergono come gigantesche opere d’arte, fossili viventi di una foresta scomparsa, monumenti totemici alla forza della vita e alla specie che si conserva. Poi i graffiti nelle grotte dei rilievi e migliaia di immagini preistoriche a testimoniare un giardino abitato.
Un viaggio nel deserto è un’occasione unica di conoscenza, è un viaggio dentro di noi, nella nostra solitudine, nei nostri sentimenti e nell’essenziale, per imparare a dare valore alle più piccole cose.

Il Sahara non è sempre stato un deserto iperarido e caldo; 8000 anni fa vi si coltivava il miglio ed ancora 3000 anni fa il clima era umido, il terreno ricco e adatto alla pastorizia e all’agricoltura; la gente laggiù conduceva un’esistenza beata finché ha cominciato a selezionare piante e addomesticare animali, a modificare l’ambiente insomma; ha imboccato una strada che purtroppo si è allontanata dalla natura. Sarà l’inizio di un cambiamento verso la siccità e la desertificazione, la distruzione di quel primo paradiso.
Il passaggio da cacciatori in agricoltori e allevatori, le grandi modifiche introdotte con la ruota e la scrittura, tutto è splendidamente registrato nei disegni nelle grotte sulle rupi del Tassili, l’altopiano in tamahaq, la lingua dei Tuareg.

Le “pietre scritte” ci raccontano delle grandi trasformazioni avvenute in oltre settemila anni di storia, graffite e dipinte in anfratti protetti in questa straordinaria piattaforma di arenaria paleozoica, fra sensazionali creazioni in un paesaggio lunare di guglie e pinnacoli, dirupi, canyon e spaccature.  Acqua e vento hanno rimodellato le dure rocce, formato tappeti di sabbia impalpabile e fantastiche città fantasma dove sembrano vivere ancora le abitazioni, le strade e le piazze; si ha l’impressione che l’uomo sia appena uscito dalla scena. Il Tassili degli Ajjer è per certo uno fra i siti d’arte più interessanti al mondo, una sorta di biblioteca all’aperto non proprio agevole da raggiungere; ma poi l’esserci… apre il cuore e l’animo e la mente.
Con quindici somarelli (a ciascuno il suo!) carichi d’acqua e di bagagli ridotti all’essenziale, tre guide Tuareg – una per noi e due per gli animali – un buon paio di gambe, scarpette adeguate e tantissima voglia di conoscere, iniziamo ad arrampicarci per entrare in quel mondo irreale, quasi marziano, dove ci si potrebbe tranquillamente perdere… Sono emozioni fortissime, impressioni, pensieri sul prima e sul poi. E’ un’energia profonda ed il profondo piacere di esserci. Ascolto qualcosa che è “oltre”, oltre le paure e i miei affanni; c’è dell’altro, universalmente grande e fortemente presente, che è lì. Dimenticare il passato che offusca la visione del presente, non appartenere al futuro. Non aver nulla a che fare con ciò che è stato e ciò che sarà; nulla mi riguarda più fuorché l’eterno ora. E dimentico la mia anima vagabonda, i desideri egoistici che strettamente mi incatenano ai sempre uguali baroni rampanti o cavalieri inesistenti…

Le rappresentazioni dell’arte rupestre sahariana documentano oltre 7000 anni di storia. La datazione in periodi non può essere che contraddittoria e molto approssimativa; attribuire un’età certa ad un’opera preistorica è sempre rimasto il sogno di ogni ricercatore. E così sono gli animali a distinguere e a caratterizzare quattro periodi principali: il bubalo, un enorme bufalo con corna lunghe ed arcuate fino quasi a chiudersi in un cerchio, il bue, il cavallo ed il cammello, anche se in realtà di dromedario si tratta, quello con una gobba sola.
Il periodo più antico è il Bubaliano o dei Cacciatori (6000 – 4000 a.C.). Bassorilievi e incisioni ci accompagnano in un formidabile giardino zoologico dove vengono minuziosamente descritti antilopi, giraffe, elefanti, felini, ippopotami, rinoceronti, asini selvatici, iene, struzzi, serpenti, pesci. Solo poche linee semplici e pulite raggiungono assieme una straordinaria carica espressiva. Il contenuto sessuale è indubbiamente forte; molte figure zoomorfe e personaggi diabolici, situazioni orgiastiche e accoppiamenti uomo-bestia. Potrebbe trattarsi di un’arte simbolica con riti di fecondazione, dove divinità ed animali rappresentano forze ed elementi della natura; o forse è erotismo puro.
Il periodo Bovidiano (4000 – 3000 a.C.) vede l’inizio di una gestione pastorale; le corna degli animali sono volte verso il basso in segno di addomesticamento e di calma. Anche le scene di accoppiamento sono molto più naturali pur ricchissime di immaginazione. Ma compaiono anche figure di arcieri e di guerrieri in piena battaglia come a dirci che le prime forme di ricchezza e di proprietà, le mandrie in questo caso, avessero già portato gli uomini diritto verso il combattimento…
Homo sapiens… disapprovo fortemente il determinativo. Predominano le pitture descrittive con colori talvolta ancora incredibilmente brillanti. Le molteplici tonalità dei rossi, gialli, verdi e viola sono proprie dell’ocra ottenuta da scisti a diverso grado di ossidazione. Il bianco nasce dal caolino o da escrementi di animali, il nero da residui di combustioni. Gli ingredienti ridotti in polvere erano poi legati ed amalgamati con miele, albume, midollo o altri materiali organici.
Nel periodo Cavallino o degli Equidi i molti animali dei periodi precedenti spariscono; l’aspetto pittorico si schematizza tanto che la figura umana è composta dalla semplice sovrapposizione di due triangoli a formare un corpo dalla vita sottilissima, spalle larghe e gonnellino. Nel medesimo tempo appaiono le forme geometriche di una scrittura arcaica ancora indecifrata. Ma la novità vera è la comparsa dei primissimi carri a due ruote trainati da cavalli al galoppo; e pitture di altri carri sono state strategicamente posizionate lungo le più importanti piste verso il Mediterraneo, antesignani cartelli stradali ad indicare la rotta alle carovane.
Ed ecco il dromedario che qualifica il periodo Cammellino; i personaggi sono molto simili ai Tuareg di oggi, le iscrizioni sono in tifinagh, la loro scrittura; e con la scrittura passiamo dalla Preistoria alla Storia, ad oggi.

I Tuareg, i romanticissimi uomini blu… genti berbere in continuo movimento, nomadi carovanieri che da Sud a Nord hanno dato vita a intensi traffici commerciali. Si importava ed esportava di tutto una volta, ma i veri oggetti del desiderio erano due: oro per gli Arabi e sale per le popolazioni nere.
Con pochi dromedari e quasi in solitudine, ancora oggi i Tuareg percorrono una ragnatela di piste, dal Mediterraneo all’Africa nera, fra i due mari d’acqua e di sabbia; e quando i riferimenti si perdono continuano il viaggio nella notte seguendo la stella polare, “bil hadi”, l’indicatore.
Sahara in arabo significa vuoto, deserto, rosso infuocato ma anche verità.
E i versi misteriosi di un canto tramandato dai nomadi ricordano un’antica sapienza ormai smarrita: “nelle sabbie del deserto è sepolta una piramide rovesciata, racchiude la verità sulla specie umana. La verità è sepolta nelle sabbie del deserto affinché chi la scopra sia considerato un pazzo con la mente bruciata dalla solitudine e dal sole”. E’ una voce che sale dal passato a sussurrare i suoi timori sul futuro. La piramide rovesciata è l’opposto delle creazioni della civiltà monumentale ed assolutistica, è la fossa di condensazione dell’acqua capace di dare vita…

L’oasi, affascinante e seducente idea della vita che vince in mezzo al niente, ma mai per caso: risultato di un’unione armoniosa fra uomo e natura per creare un ecosistema autopoietico che si rinnova sempre, un microcosmo capace di autorigenerarsi; volontà dell’uomo che in severissime condizioni ambientali utilizza risorse eccezionali per innescare un’amplificazione crescente di interazioni positive atte a creare una nicchia fertile che si oppone ad un intorno ostile ed avverso.
Sono moltissime le teorie e i pensieri che in campi diversi e con motivazioni differenziate sostengono l’idea che stimolo a qualsiasi sviluppo sia una dinamica competitiva. Chi è più forte, coraggioso, combattivo ed aggressivo acquista privilegi a scapito di altri. Il successo è visto solo come un accumulo di vantaggi. Ma le specie complesse si sono evolute tramite processi di simbiosi e di alleanza, non distruggendosi a vicenda; hanno unito i loro caratteri e le loro risorse coevolvendo, per avere più speranza di riuscita nel lungo periodo.
La parola “oasi” così come è descritta nell’antica lingua egizia – UHA – è bellissima. I geroglifici usati come lettere semplici hanno contestualmente un valore figurativo, fonetico e simbolico ed i loro ideogrammi non possono che aggiungere forza e suggestione alla parola; ecco il geroglifico U che rappresenta un pulcino, piccolo e tenero da proteggere; H è un recinto di rami, quindi custodia e riparo nel deserto; A è un ramo fiorito, la natura che sboccia, la vita che esplode. Quindi oasi come spazio protetto a tutela di una vita preziosa. I segni con valore fonetico sono generalmente seguiti da un geroglifico che ne condensa il senso globale e qui la sintesi è il niut, un cerchio quadripartito, il luogo abitato, la città.

E il tè nel deserto, uno e trino, viene fatto e servito tre volte in bicchierini di vetro grandi tanto quanto quelli che noi usiamo per i liquori; è un tè forte e scuro e la sua preparazione è un rito. I Tuareg vi aggiungono anche foglioline di menta fresca quando riescono a procurarsela, così nei primi giorni di viaggio la menta non manca mai.
Le teiere sono generalmente tre, molto colorate e messe a turno sulla brace che fa ribollire l’acqua del pozzo; senza perderne una goccia e con un abilissimo gioco di equilibri il tè viene passato da una teiera all’altra e mischiato allo zucchero in modo da formare una schiumina densa che verrà poi suddivisa nei bicchierini ancor prima del tè. Poi un sorso d’assaggio, il faut déguster avant d’offrir, ed ecco pronto per tutti il primo tè “amaro come la morte”… Intanto viene aggiunta acqua alle foglie che hanno già dato, e solo un pizzico di nuovo tè e qualche fogliolina di menta ed altro zucchero… E il secondo tè è “forte come la vita”. Poi ancora acqua, zucchero e tanta menta ed ecco l’ultimo tè, “dolce come l’amore”. E’ un rito che si ripete nelle pause sotto il sole cocente, nel primo pomeriggio e la sera sotto le stelle, dopo cena, fra la sabbia ed il vento. Ci vuole tempo, ma il tempo non manca mai nel deserto.

Dice una leggenda Tuareg che il Sahara è un gigante disteso, assopito ma vivo. Spesso i Tuareg al tramonto siedono immobili sulla cima delle dune più alte; dicono di ascoltare la voce del gigante che risuona come un grido, il grido del deserto che non si può ignorare. Esso dice: “solo un nuovo patto fra tutta l’umanità e tra questa e le specie animali e vegetali, può garantire la sopravvivenza di quell’oasi nel cosmo che si chiama Terra.”
Fermarsi un momento nel silenzio più assoluto e sentirne la voce, l’essere di fronte al vuoto, il terrore dell’ignoto, il battito del cuore, il respiro, l’amicizia, l’amore o l’indifferenza dei compagni, il vivere del pianeta intero. E poi il tè con i Tuareg, le arrampicate a mezzogiorno, il sole che ti brucia, l’odore dei somari, l’odore degli umani, il vento sulla tenda, la sabbia nelle orecchie, il cielo con le stelle, la voglia di restare… l’urlo del deserto… ci si torna nel deserto!

 

Letture consigliate:

Algeria, guide edt.
Algeria Libia, Centro Documentazione AnM, Roma
La piramide rovesciata, di Pietro Laureano, Bollati Boringhieri
SAHARA Giardino sconosciuto, di Pietro Laureano, Giunti

 

di Francesca Chiolerio  –  giugno 2000

Pubblicato su: Avventure nel Mondo – Bimestrale,  Anno XXVIII – n. 6 – Novembre-Dicembre 2001