Russia – Transiberiana

Russia   

Transiberiana

Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita senza mai scalfire la superficie dei luoghi né imparare nulla dalle genti appena sfiorate. Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare chiunque abbia una storia da raccontare. (Pino Cacucci)

 Transib - stazione orizz. seppia

Da Mosca ad Ulaanbaatar, seimilatrecento chilometri in treno. Decidiamo di arrivare in Mongolia così, per perderci nel tempo. La prima tappa sarà Irkutsk sul lago Baikal; quattro giorni, quattro amici, sottovetro.

Siberia. Il nome nasce dalla fusione tra il mongolo siber, bello e puro, con il tartaro sibir, terra addormentata. Terra sconosciuta, ostile e fredda nell’immaginario, al di fuori dei confini della storia. Non può che suscitare paure.
Transiberiana. Non è un treno leggendario come avrebbe potuto esserlo l’Orient Express; Trans-Siberian è la rete di binari che collega Mosca con l’oriente, attraverso l’Europa orientale e l’Asia fino alle porte della Cina. Da Mosca a Vladivostok sono quasi 9.300 chilometri. E’ la più lunga linea ferroviaria del mondo, interamente in territorio russo, importantissima da un punto di vista storico, economico e militare. Voluta dallo zar Alessandro III è proprio come lui l’avrebbe immaginata, un nastro per congiungere da un capo all’altro il suo sterminato impero. Nel 1891 iniziarono i lavori. A quel tempo per raggiungere la capitale San Pietroburgo, dalle sponde del Pacifico un anno avrebbe anche potuto non bastare. La Siberia era collegata con la Russia Europea da una scomodissima e disagevole strada in terra battuta e le ferrovie dirette ad est si fermavano agli Urali. La traccia fu aperta nella steppa e nella taiga con la sola forza umana, braccia di forzati, di soldati e mano d’opera cinese. I binari avanzavano 650 chilometri l’anno ma fra inondazioni, malattie, guerre, assalti di banditi, pianificazioni malfatte e materiali scadenti, ci vollero 26 anni per completare quest’impresa faraonica. La linea principale venne poi ulteriormente sfrangiata: la BAM, Baikal-Amur Mainline, è un’estensione che si prolunga a nord del lago Baikal per raggiungere la costa del Pacifico; da Novosibirsk la linea Turkestan-Siberian scende verso sud; da Ulan Ude si separa la Trans-Mongolian e poco più avanti la Trans-Manchurian, percorsi diversi che si ricongiungono a Beijing, Pechino.

A Mosca abbiamo il nostro appuntamento; qui dobbiamo assolutamente ritrovarci poiché ciascuno di noi vi arriverà per conto proprio e da vie diverse. E un martedì sera eccoci finalmente riuniti, a ventiquattro ore dall’inizio della nostra avventura in treno. La curiosità ci proietta subito a scoprire la città; una giornata mi è bastata per amarla. Nella Piazza Rossa lo spazio si distende, è immensa. Palcoscenico di colpi di stato, insurrezioni, esecuzioni pubbliche, parate militari, è imponente. Poi davanti a me è l’immagine di un sogno, il simbolo della Russia, la cattedrale di San Basilio, un gioiello che nessuna illustrazione né fotografia potrà mai rendere nella sua straordinaria bellezza. E’ un’apoteosi di forme, colori, cupole e cappelle; fantasmagoria alla luce del tramonto.
Il Cremlino è un complesso di edifici di grande fascino, palazzi, chiese ortodosse, giardini e musei, cinti tutt’intorno da mura con torri e porte. E’ il centro spirituale della città, è il cuore della Chiesa ortodossa russa. La cattedrale dell’Annunciazione era in pratica la cappella privata della famiglia reale, vi celebrarono battesimi e nozze. La cattedrale dell’Assunzione della Vergine è considerata la chiesa nazionale; vi furono incoronati tutti gli zar, da Ivàn il Terribile in poi, ed eletti e consacrati i patriarchi della Chiesa ortodossa, molti dei quali sono sepolti al suo interno. La cattedrale dell’Arcangelo Michele è il luogo di sepoltura degli zar; nascosto alla vista, nei pressi dell’altare sta il sepolcro di Ivàn il Terribile. L’esterno della chiesa, che mischia lo stile rinascimentale italiano con l’arte tradizionale russa, è un esempio della varietà architettonica di questi edifici; infatti, tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, lo zar Ivàn III il Grande invitò molti architetti italiani per progettare il Cremlino su modello europeo.
Passeggiando nei giardini e nelle piazze si incontra la campana dello zar, oltre 200 tonnellate di peso, la più grande esistente al mondo. Era ancora chiusa nella sua forma di gesso quando venne in contatto con l’acqua versata per controllare un incendio vicino; si ruppe subito e un grosso pezzo saltò via. Questa campana non ha mai suonato. Un po’ come il cannone dello zar, 40 tonnellate, il più grande al mondo; venne fuso con l’intento di difendere le mura del Cremlino. Simbolo del patriottismo russo, non sparò mai un colpo. Grandi, belli, molto decorativi, motivo di orgoglio e assolutamente inutili, ricordano un po’ certi popolari personaggi che vogliono apparire, senza essere. Ma per contrasto ecco al Diamond Fund Exhibition una “cosina da niente”, un diamante da 190 carati, dono d’amore di Gregorij Orlov a Caterina la Grande.

I cartelli, le insegne pubblicitarie, i nomi delle vie e delle piazze, le fermate della metropolitana, tutto è scritto in cirillico, l’alfabeto russo. Il cirillico è basato su caratteri greci ed ebraici ed ha sostituito il precedente alfabeto glagolitico usato nelle prime traduzioni dei testi liturgici dal greco. In origine comprendeva 43 lettere, ridotte a 32 nel russo attuale; ogni lingua che ancora utilizza il cirillico conserva delle proprie piccole varianti. Anche se non è difficile da leggere, all’inizio è facilissimo confondersi. Ecco qualche esempio di traslitterazione in caratteri del nostro alfabeto, dov’è possibile, senza usare gruppi di lettere o segni diacritici per evidenziare le distinzioni: Б = B; Β = V; C = S; Г = G; Д = D; Э = E; З = Z; H = N; И = I; Л = L; П = P; P = R; Y = U.

Stazione Yaroslavsky. Cerchiamo il treno numero 10, il Baikal Express diretto Mockba-Иpkytck, uno fra i più belli della ferrovia ci dicono. Le nostre cuccette sono prenotate sulla carrozza numero zero; bene, incontriamo subito la 18, 17, 16… 9 è il vagone ristorante… e così risaliamo il lunghissimo convoglio, bagaglio in spalla più pesante del dovuto poiché, di certo, l’esperienza non m’insegna. E’ un treno di sola seconda classe, 19 vagoni solidi ed essenziali, nove scomparti per carrozza, quattro cuccette per scomparto; carrozze tutte uguali con un gabinetto ad ogni estremo ed un piccolo rifugio per il ‘controllore’. Controllore o capo-vagone più un’assistente, sempre coppia al femminile, con il compito di tenere al meglio la ‘loro’ carrozza. La divisa cambia con il ruolo del momento, come hostess sull’aereo, è tailleur azzurro scuro l’ufficiale o grembiulino per corvè; e ogni giorno pulizie di fino, carta nei bagni, polvere e aspirapolvere sulla passatoia del corridoio e nelle celle dei viaggiatori. Dire ‘turisti’ qui suonerebbe strano.

Chilometro 1777, un obelisco bianco indica il passaggio dall’Europa all’Asia; entriamo in Siberia attraverso gli Urali.

Nel corridoio è appesa una tabella con il percorso del treno e gli orari previsti d’arrivo alle stazioni, fra due finestrini e tralci verdissimi di edera cascante, finta. Si fanno un paio di soste al giorno, 20 minuti o anche meno se il treno porta ritardo, per fare quattro passi, una corsa, o per comperare qualcosa da mangiare dai venditori improvvisati che ci aspettano lungo i binari della stazione: uova sode, yogurt, pesce affumicato, polpette di carne e di patate, pomodori, qualche mela, frutti di bosco in bicchieri di carta, o una bibita, del pane, grossi würstel molto agliati, spaghetti coreani liofilizzati in scatola di polistirolo, dove basta aggiungere un po’ d’acqua bollente ed in cinque minuti riprendono a vivere. Sono poche le bancarelle, ma è un formicolio di donne e bambini, un tovagliolo a ricoprire i cestelli ripieni di povere cose… Tenerezza e tanta pena per questa gente ingegnosa che arrotonda così le misere entrate. E dall’altra parte noi che integriamo i pasti attingendo dalla ‘veneranda’, la borsa-viveri rosso fuoco; lì c’è persino l’olio extravergine e l’aceto balsamico, quello di Modena fatto in casa con il mosto d’uva concentrato e maturato per anni in piccole botti di legni diversi…

Poco prima di Novosibirsk incrociamo l’Ob, uno dei fiumi più lunghi al mondo.

E’ stranamente bello, eccitante, disorientante, sapere di non aver altro da fare se non leggere, chiacchierare, guardare attraverso un finestrino, mangiare e dormire; come i bambini. Il dondolio del treno è una culla e ci si sveglia tardi la mattina, poi il pranzo è merenda… E ci abbandoniamo così tanto che il ‘nostro’ orologio si stara. Non siamo più sincronizzati con l’esterno ma, come fossimo in totale isolamento, seguiamo i nostri ritmi di veglia, alimentazione e sonno, completamente scollegati, sonnambuli in giornate senza data.

Krasnoyarsk; attraversiamo il lungo ponte sul fiume Yenisey.

Intanto sul nostro piccolo schermo scorrono foreste di betulle e larici, terre pacifiche, piccole fattorie, sentieri fra prati fioriti, contadini al lavoro, un albero appena tagliato, mucche al pascolo, un side-car…
E finalmente Irkutsk, la capitale culturale della Siberia meridionale. Siamo a terra con quasi 5200 chilometri alle spalle. Sul fiume Angara – unico emissario del lago Baikal – Irkutsk fu fondata dai cosacchi nel 1651 come avamposto militare. Grazie alla sua posizione strategica si sviluppò come mercato, crocevia del commercio in pellicce, oro, tè, seta e altro, fra Russia e Cina. Città di mercanti e aristocratici, fu luogo di confino per prigionieri politici e decabristi. La rivolta decabrista – dal russo dekabr’, dicembre – fu un movimento di protesta guidato da un gruppo di rivoluzionari nel dicembre del 1825 a San Pietroburgo. Erano per lo più ufficiali dell’esercito zarista, speranzosi di instaurare un regime repubblicano o monarchico costituzionale. La sommossa venne prontamente repressa ma centinaia di rivoltosi furono esiliati o condannati ai lavori forzati. Scontata la pena, alcuni decabristi decisero di rimanere. Le loro splendide case, adesso restaurate, sono musei e si possono visitare. L’architettura delle abitazioni mescola lo stile neoclassico al legno, tipico delle case originali della vecchia Siberia.
Mi piace sempre ricordare che a Irkutsk nacque Rudolf Nureyev.
Non ho mai amato il caviale e nemmeno la vodka, liquore non invecchiato, senza profumo, dal sapore troppo morbido. Mi lascio conquistare più facilmente da una bruschetta e prosciutto crudo piuttosto che da ostriche e champagne. Però la cenetta a base di caviale e vodka al Nostalgia Kafe, con un’appassionata voce che intonava ‘Caruso’ – in Siberia! – non mi ha lasciata del tutto indifferente…
E formidabile è l’atmosfera da festa paesana sul fiume, la domenica sera, con la gioventù agghindata per lo struscio; zucchero filato, tacchetti, sorrisi, trasparenze, rossetti, profumo di carne grigliata e noi ad inseguirne il fumo…

Una settantina di chilometri lungo il fiume ed arriviamo al Baikal, il lago più profondo del mondo. La sua forma sottile ricorda uno spicchio di luna. Si allunga per oltre 620 chilometri, grosso modo dieci volte di più del ‘mio’ lago, quello di manzoniana memoria. Al Baikal Limnological Institute, un filmato ci racconta della trasparenza delle sue acque, della grande varietà di flora e fauna presenti, delle specie animali endemiche, dei salmoni e storioni, delle foche d’acqua dolce. Siamo nei pressi di Listvianka, porticciolo graziosissimo, villaggio fra mare e campagna dove il modo di vivere è rimasto immutato nei secoli. Una chiesa, deliziose piccole case di legno con un giardino davanti, un recinto. Maria ci accompagna a visitare la sua casetta: attraversiamo un’esplosione di verde con siepi di lamponi e fiori e piante di patate. In cucina il forno in muratura per il pane è spento, le preziose e misere cose sono in ordine, linde, pulite; e trine, candidi pizzi sui cuscini del letto, sul divano. Lei è cartapesta bruciata, profondissimi i solchi nel viso, ragnatele attorno agli occhi, occhi vecchi, azzurri o vitrei, il colore si confonde; una bocca che sorride, un sorriso che risucchia… E’ l’immagine del tempo che è da sempre, che non c’è più.

A Ulan Ude solo il tempo di una sera. Catturo immagini: una grande statua con la faccia di Lenin, enorme e nera; i primi visi mongoli dei buriati, uno spiedino, poche ore di sonno e via, nuovamente. La mia irrequietezza oggi è troppo forte.

Sdraiata su una panchina mi appisolo nella piccola stazione di frontiera di Naushki. La giornata è calda e afosa. Siamo fermi già da qualche ora ad aspettare; passeremo dieci ore così, sotto il sole cocente di questa estate siberiana.

Sulla Trans-Mongolian non esistono regole, i posti prenotati non saranno mai nostri, sul treno le pulizie non vengono mai fatte, uno dei bagni diventa ‘privato’, occupato da una trasandata coppia ‘controllore-assistente’ con un seguito di mariti, amanti e amici, forse. Tutto il convoglio è stato smembrato e allontanato ma nemmeno ce ne siamo accorti; è rimasta solo la nostra carrozza, l’unica per stranieri, e noi stranieri. Il pomeriggio è sonnolento. Tutti, anche quelli che si erano impegnati a più non posso a giocare a carte, a prendere il sole, a lavarsi i capelli o a fare il bucato, tutti, in piedi gironzoliamo annoiati. Nel frattempo arriva nuova gente, strani movimenti… pesanti scatole di cartone e dozzine di uova vengono caricate sul vagone; entrano uova… escono ravioli! Ma è ora di cena adesso per gli artefici della metamorfosi che, seduti a terra in tondo, soddisfatti, insaporiscono la loro zuppa con morsi di erba cipollina.

E poi sarà Mongolia.

 

Letture consigliate:

Russia, Ukraine & Belarus, lonely planet
La strada di ferro, di Fen Montaigne, National Geographic Italia, vol.1, N.5, giugno 1998
In Siberia, di Colin Thubron, Ponte alle Grazie

 

di Francesca Chiolerio  –  settembre 2000