Prefazione – Effetto cielo

Prefazione al libro di Giorgio Rizzi

Effetto Cielo

Ho letto queste pagine tutte d’un fiato.
Sono frammenti di vita di un uomo non comune, intenso e coinvolgente, che parla di volo con la forza delle grandi passioni, delle amicizie vere. Scuotono, commuovono fino alle lacrime, emozionano e non lasciano indifferenti. Più aspre, trasudano rabbia e tristezza quando gridano di non mollare. Perché non esistono ostacoli se noi non li poniamo.
“Decollare è facoltativo, atterrare è obbligatorio” ripete spesso un amico pilota.
Se ci solleviamo da terra poi a terra in qualche modo dobbiamo ritornare e a volte ci s’impatta malamente. Succede nella vita, purtroppo combattiamo ogni giorno contro vuoti incolmabili, profondissime solitudini, ingiustizie bastarde, magoni che soffocano, falsità, mancanza d’amore.
E allora guardiamo avanti e non molliamo mai!
Non davanti a chi non ci comprende, ai rompiballe, all’ignoranza, al cinismo, alla cattiveria, all’egoismo, alla follia che abita in fondo a tutti noi.
Non davanti ad un mondo disperato.
E poi questo parlar di cielo, di nuvole e di vento, ci invita a rivolgere lo sguardo verso l’alto, lassù dove si nascondono i sogni più segreti, speranza, pace e felicità.
Ci porta a sentire il respiro della vita, lo spirito. Silenziosamente, piano piano possiamo rientrare ancora dentro di noi fino a toccare l’anima, a scoprire che il mistero sta tutto lì.
Quasi senza accorgermi mi fermo, abbandono le tensioni, ascolto i miei pensieri…
Giorgio è autentico. Il nostro primo incontro ha la fragranza del pane caldo. Mi riporta alle cose sane della nostra gente, della nostra infanzia. Avremmo potuto conoscerci già da allora ma sarebbe stato un po’ troppo facile, persino banale. Così decidiamo di farlo da bambini un po’ cresciuti, in un borgo toscano, in quella terra magica e speciale che emana un’energia tanto densa che si può toccare. Davanti ad un prototipo con le ali (avrebbe potuto essere altrimenti?) in un museo, ad un congresso.
Ci scopriamo coetanei, faccio per dire perché lui è un filino più giovane. Stessa città, stesse abitudini, stessa vita parallela. Conosceva bene il babbo e il suo sorriso. A me pare di conoscerlo da sempre.
A cena mentre tutti si scambiano smancerie – resta pur sempre un incontro di lavoro – noi parliamo di noi e del nostro essere, delle nostre passioni, del suo cercare un pane tanto buono per domani sera con lei… “che non vedo l’ora!”
E così, come fili invisibili di un’intricata ragnatela, i nostri sentieri salgono, scendono, si sovrappongono, s’incrociano, si allontanano nel caos dell’esistenza. Per poi tornare a condurci proprio qui. Dove siamo adesso.

 

di Francesca Chiolerio      26 ottobre 2004